Domenica 2 giugno, sveglia di buon ora e via per la seconda Gita del Calice, direzione Valle d’Aosta, alla scoperta delle sue “veugne e vèn” (vigne e vini). Già, perché tutti noi conosciamo La Vallée per le piste da sci e la Fontina, qualcuno è anche esperto di sentieri alpini e delle dolci Tegole, ma i vini valdostani sono materia per pochi. E noi vogliamo studiare!!!
La prima tappa ci porta ai piedi del Monte Bianco, che ci accoglie immacolato per le recenti nevicate sullo sfondo di un cielo azzurrissimo.
A Morgex ci apprestiamo a conoscere 3 diverse manifestazioni dello stesso vitigno: il Priè Blanc fermo, il metodo classico e l’icewine.
La sede della Cave du Vin Blanc de Morgex et de La Salle è una massiccia baita di montagna, che sotto nasconde una modernissima cantina dotata di tecnologia avanzata a supporto della tradizione. Le principali caratteristiche delle vigne dei circa 80 produttori facenti parte della cooperativa sono:
- le viti a piede franco, che non hanno necessitato dell’innesto su piede di vite americana in quanto, a causa dell’estremo isolamento e delle particolari condizioni climatiche, sono sopravvissute alla fillossera che distrusse un secolo fa i vigneti di tutta Europa
- i terrazzamenti che si sviluppano tra i 900 e i 1200 m di quota, vantando il primato dei vigneti tra i più alti d’Europa
- l’allevamento a pergola bassa per non fare elevare la vite in altezza e proteggerla dal vento (ma non dai tassi che vanno ghiotti delle sue dolci uve)
- il fatto che praticamente tutti i lavori sono fatti manualmente e senza l’aiuto di trattori, su ben 18 ettari di vigne … che mazzo ragazzi! Per fortuna che a causa del clima secco e ventilato i trattamenti antiparassitari sono ridotti al minimo
La degustazione ha riguardato:
- Blanc de Morgex et de La Salle, selezione Rayon: vino fermo caratterizzato da un profumo fine e delicato con note di pera e fiori di montagna, che in bocca trova un ottimo abbinamento nella toma di montagna e nella Fontina DOP.
- Blanc de Morgex et de La Salle, spumante metodo classico: della vasta gamma di spumanti della cantina, l’Avalanche deriva da un vino base vinificato in acciaio che rimane 16 mesi sui lieviti prima della sboccatura. I sentori dolci e fruttati al naso, mutano in bocca in una elegante la sapidità. L’abbinamento con cui abbiamo apprezzato questo vino è stato il lardo d’Arnad.
- L’intrigante “vin de glace”, Chaudelune, ottenuto dalla vinificazione di uve appassite naturalmente sulla pianta e vendemmiate in pieno inverno nottetempo, quando gli acini sono ghiacciati. Il vino matura in barrique e botticelle di vario tipo, tra cui alcune di legni autoctoni quali il ginepro; vino da meditazione, dal sorprendente e intenso profumo di timo, oltre ai più tipici sentori di miele e albicocca secca, e dallo splendido bilanciamento tra dolcezza e acidità. Gli abbinamenti con cui apprezzare al meglio questa chicca sono, oltre ai dolci tipici valdostani come le Tegole, che che ne esaltano la nota acida, i formaggi erborinati locali quali il Bleu d’Aoste, che ne evidenziano la dolcezza.
- Infine, la simpatica Stéphanie ci ha omaggiati di una sorpresa: un assaggio di uno dei due spumanti top di gamma, il Cuvée du Prince. Dopo la prima fermentazione parte in legno grande (larice, rovere) e parte in acciaio, il vino rifermenta in bottiglia e rimane oltre 48 mesi sui lieviti. Notevole struttura, sentori di renetta matura, mandorla, minerali, il tutto avvolto dal perlage particolarmente sottile, cremoso e persistente. Chapeau!!!
Soddisfatti dalla prima tappa e confortati dalla giornata luminosa, scendiamo lungo la valle oltrepassando il comune d’Arvier, terra d’origine dell’Enfer (vino rosso ricavato prevalentemente da uve Petit-Rouge con l’aggiunta di altri vitigni autoctoni).
La seconda meta di questo viaggio nell’enologia valdostana ci porta a Introd presso l’azienda Lo Triolet, piccola cantina a conduzione familiare con 5 ettari di vigneti nei comuni di Introd, Villeneuve e Nus e circa 40.000 bottiglie prodotte all’anno.
Marco Martin ci racconta con orgoglio la storia dei sui vini, le sue sperimentazioni e i suoi successi. Con il bicchiere in mano ci accompagna alla scoperta dei suoi bianchi – l’elegante Pinot Gris, dai nitidissimi sentori floreali, l’intenso, estroverso (petali di rosa e frutta tropicale tra i profumi) e strutturato Gewürztraminer, che non teme confronti con i cugini sudtirolesi, infine l’aromatico Muscat Petit Grain – in abbinamento alla fontina, ma soprattutto ad un’ottima toma di capra. Sul tavolo trionfano anche due bei cestini colmi di pane fatto in casa con farina di segale e altri cereali: un viaggio nel tempo in sapori antichi a noi sconosciuti!
Ma la gamma dei bianchi non è completa senza assaggiare il top della produzione, il Vallee d’Aoste Pinot Gris élevé en barrique (non chiamatelo barricato!). Questo vino dal 2011 effettua una più lunga macerazione sulle bucce che gli conferisce un colore ramato, quasi cipria, davvero elegante, poi svolge la fermentazione alcolica e malolattica in barriques di rovere francese, rimanendovi per nove mesi ed essendo sottoposto a periodici batonnages dei lieviti per arricchirlo di profumi e conferirgli struttura. Un vero capolavoro.
L’azienda produce anche vini rossi e, insieme al salame di lardo e alla mocetta, assaggiamo un giovane Gamay 2012 – con le tipiche sensazioni di frutti rossi (in particolare fragoline di bosco) e di rosa che si ritrovano nei migliori Beaujolas d’oltralpe – ed un austero ma emozionantissimo Fumin 2009 – colore rubino intenso con riflessi violacei, naso molto persistente caratterizzato soprattutto da frutti rossi, mirtilli in primis, ma anche da eleganti sentori speziati ed un qualcosa di affumicato, vino che offre il meglio di sé al palato essendo succoso, caldo, morbido con tannini vellutati che lo farebbero abbinare splendidamente alla cacciagione o ai piatti invernali della tradizione alpina.
Per concludere quest’esperienza nel magico mondo di Lo Triolet, non c’è modo migliore che tornare sul vitigno principe dell’azienda, il Pinot Gris. L’originale Mistigri vino da uve stramature, è un nettare di per se, ma è ancora più buono se abbinato al pane dolce con le uvette, prodotto dalla mamma di Marco Martin.
La giornata a questo punto ci regala un piacevole e gustoso fuori programma. La Compagnia del Calice, diventa Compagnia del “Caglio” per andare in località Petit Quart a Gignod, all’imbocco della Valpelline, a conoscere di persona l’azienda agricola Chez Duclos, che produce gli ottimi formaggi assaggiati a Introd. Scesi nel crottin che funge da punto vendita, si è totalmente abbracciati dalle “stagere” di legno su cui riposano decine di forme di tome, fontine e caprini di diverse stagionature. Che spettacolo!
L’ultima tappa del nostro itinerario ci porta poco sopra Aosta a Quart presso la Maison Vigneronne Frères Grosjean.
Ad accoglierci nel cru di famiglia, la Vigna Rovettaz, è Vincent, uno dei cinque fratelli Grosjean, che ci mostra con orgoglio i 5 ettari (sui 10 totali dell’azienda) di filari di Prëmetta, Cornalin, Mayolet, Fumin, Petit Rouge, antichi vitigni autoctoni gestiti in maniera moderna secondo l’impostazione biologica. L’ambiente è magnifico: di fronte a noi il Monte Emilius innevato, intorno i filari ad alta densità d’impianto, le viti ricche di numerosi grappolini in attesa della ormai vicina fioritura, ed il vento sempre presente e primo alleato nel garantire sanità alle uve. Non si effettuano diserbi con prodotti chimici, e tra i filari il manto erboso è tutt’uno col frinire dei grilli. Ma oltre alla poesia, c’è anche tecnologia: c’è un capillare sistema di irrigazione e c’è una sapiente tecnica per selezionare e moltiplicare questi antichi vitigni sui tradizionali portainnesti a piede americano (le marze, prelevate nella fase quiescente della vite prima della potatura, vengono inviate per l’innesto presso un vivaio trentino). Siamo davvero rapiti dalla passione con cui ci viene raccontato il variegato e duro lavoro dell’uomo e della natura.
Poi ci trasferiamo in cantina e si riempiono i calici. Tra le curiosità tecnologiche in cantina, l’ecologico sistema di controllo della temperatura dei tini di fermentazione, basato sullo scorrimento negli interstizi dei tini dell’acqua naturalmente fredda di una vicina fonte. Iniziamo gli assaggi, ovviamente, dai vini bianchi: la Petite Arvine (vitigno originario del Vallese in Svizzera, ma da secoli accasatosi in Valle) dai sentori agrumati è davvero una bella sorpresa, tanto più che degustiamo la prima annata che è «biologica» anche in cantina, ossia il vino è completamente privo di solfiti. Poi c’è il Muscat Petit Grain, rigorosamente secco, che ormai abbiamo capito essere una tradizione non solo di Chambave ma dell’intera Valle d’Aosta.
Per quanto riguarda i vini rossi, abbiamo potuto apprezzare diversi vini monovitigno – Gamay, Cornalin, Fumin e Pinot Noir – ed anche il taglio tipico valdostano, il Torrette Supérieur Vigne Rovettaz (da uve Petit Rouge 75%, Cornalin 10%, Fumin 10%, Prëmetta 5%), accompagnati dalla squisita fontina di produzione propria e da succulenti salumi tra cui la mocetta e il tipico boudin, insaccato a base di patate bollite, cubetti di lardo, barbabietole rosse, spezie e vino (talvolta sangue bovino o suino, ma non nella versione assaggiata). Tra i rossi spiccano il Cornalin, dal profumo ampio e speziato, con sentori di tabacco, morbido e pieno al palato, e il Pinot Noir, dal colore rubino tendente al granato e dai tipici profumi di frutti di bosco. Interessante anche la Prëmetta, vino rosato dal colore piuttosto intenso che ricorda il corallo, dai delicati profumi fruttati e di rosa. Vincent non ci vuol salutare, però, senza sfoderare l’asso che ha nella manica, ops nella cantina personale, una preziosissima bottiglia di Petit Arvine del 1996. Il colore è dorato brillante, al naso le tipiche note d’agrumi hanno lasciato il posto a profumi più complessi, terziari. Alla nocciola tostata, si accompagnano eleganti sensazioni di ossidato di un vino di Jerez. In bocca sorprende ancora per la freschezza garantitagli dall’acidità del vitigno e dell’ambiente in cui è allevato.
Salutiamo e ringraziamo le 3 aziende che ci hanno ospitato, fatto scoprire e apprezzare i loro vini, ma anche i salumi e i formaggi di questo incantato cuore delle Alpi. Dimenticavamo: alcuni partecipanti alla gita hanno gradito molto anche il pane tradizionale valdostano!
Gabriele e Giorgio