Torino chiama e Jesi risponde!
Abbiamo conosciuto Simonetta e i vini della cantina Brunori lo scorso Aprile al Vinitaly ed è scoccata subito la scintilla. E così, con un po’ di sfacciataggine nei mesi scorsi abbiamo provato a chiedere a lei e al marito Carlo se gradivano affrontare oltre 1000 km di viaggio A/R per venire a raccontarci in quel di Torino l’amore per i loro vini e per la loro terra, Jesi e il suo Verdicchio. E così è stato!!!
La degustazione è iniziata subito con un approccio conviviale e familiare, come se Carlo e Simonetta stessero ospitando a casa loro vecchi amici, non in salotto, ma in cucina, nel cuore della casa dove c’è il focolare, offrendo cose semplici, pane e olio, quello buono però, e un bicchiere di vino. Il prologo allo studio del Verdicchio di Jesi è stato, infatti, caratterizzato da un assaggio di pane generosamente innaffiato con olio extravergine ottenuto da olive della varietà Raggia, tipica delle Marche, e da un bel calice di spumante brut metodo charmat lungo – perlage fine e bocca ben bilanciata tra la freschezza e la sapidità tipiche del vitigno.
Dopo di che ci siamo addentrati in un trittico di Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico, in quanto la cantina Brunori si trova nella zona storica di produzione di questo vino. Carlo ci porta per mano nella degustazione dei suoi prodotti facendoci apprezzare la pronta beva de Le Gemme 2013, vino dai profumi freschi e varietali, con le note erbacee di ginestra in primo piano. Si passa quindi al San Nicolò Superiore 2013, più complesso al naso e con una struttura irruente che fa presagire la sua capacità di invecchiamento. Ed è proprio la longevità di quest’uva a bacca bianca che ci piace e ci stupisce. Per meglio apprezzarla, degustiamo il bianco top della cantina, stesso cru del precedente ma in versione Riserva, che si fregia quindi della DOCG. Il San Nicolò Riserva 2012, per noi in sala ribattezzato “etichetta nera”, è davvero emozionante. L’invecchiamento in cantina non avviene in legno, ma in vasche di cemento vetrificato e la complessità dei suoi profumi va ricercata nella prolungata sosta sui lieviti, oltre che nell’attenta selezione in vigna.
Queste 3 diverse sfaccettature di Verdicchio, sono state abbinate con la caciotta di pecora e con un tipicissimo prodotto della tradizione marchigiana pasquale, la pizza di formaggio, una specie di panettone salato che al suo interno nasconde saportite scaglie di pecorino. Un applauso a Simonetta!!!
Proseguiamo il percorso nell’enogastronomia marchigiana andando a scoprire due salumi d’eccellenza, il nobile salame lardellato di Fabriano – caratterizzato da un pasta fine piuttosto magra ricavata dalle parti più nobili del maiale, alternata sapientemente a gustosi tocchetti di lardo – e il morbido ciauscolo – salame reso spalmabile dalla doppia macinatura delle carni. E con questi sapori un po’ più forti, a cui si unisce anche una croccante porchetta, non si può che abbinare dei vini rossi.
La Lacrima di Morro d’Alba fa subito scattare parallelismi piemontesi: chi dice Ruchè di Castagnole Monferrato e chi Brachetto secco. In entrambi i casi il denominatore comune è l’impronta aromatica con profumo di rosa che, in effetti, caratterizza anche il Lacrima. Noi lo apprezziamo con un assaggio di porchetta profumata al finocchietto, ma si accompagnerebbe bene anche alla speziata cucina etnica. La Lacrima di Morro d’Alba Alborada 2013, piace a tutti, ma soprattutto alle nostre amiche in sala. Il nome Alborada, ci spiega Carlo, rievoca il vecchio sistema di allevamento, l’alberata, tipico della coltivazione mista di campagna, in cui, prima che nei vigneti, la vite era coltivata nell’orto e nel frutteto insieme agli altri prodotti.
Dopo la tipicità del Lacrima, Simonetta e Carlo ci presentano il loro rosso più importante il Rosso Conero Barco 2011, 100% Montepulciano. Un bel rosso quasi piemontese, se me lo permettete. Di corpo e struttura, con tannini presenti ma ammorbiditi dall’invecchiamento. Parte del vino fa un delicato passaggio in barrique, ma non troppo, per non rischiare di farlo diventare “un vino da falegname”, come ci dice Carlo.
Avremmo potuto completare qui la nostra serata e sarebbe stata una bellissima serata. Ma la prima degustazione dedicata alle Marche ci regala ancora qualche sorpresa con i prodotti de Le Cantine del Cardinale, azienda famigliare specializzata della coltivazione e nella lavorazione delle visciole: confettura, visciole sciroppate, vino di visciola e acquavite . Gran finale, davvero. Il vino di visciole è un’antica tradizione marchigiana. “I nobili ed il clero ne facevano ampio uso come vino da dessert chiamandolo “vino degli angeli”. I contadini producevano vino di visciola per centellinarlo solo nelle grandi ricorrenze. Lo chiamavano “sangue di strega”, attribuendogli proprietà afrodisiache” racconta il loro sito. “Nel mese di giugno le ciliege selvatiche, raccolte a mano, vengono messe in damigiane vetro con lo zucchero es esposte al sole fino a settembre, quando, tolto il succo prodotto e chiuso nelle botti, le visciole vengono aggiunte al mosto di vino rosso a fermentare fino a marzo. Alla fine del mese di marzo il succo viene aggiunto al mosto diventato vino. Il prodotto resta in affinamento nelle botti per sei mesi, poi dopo essere stato imbottigliato, per altri due mesi prima di essere venduto.”
Serata fantastica. Un grazie di cuore a Simonetta e Carlo Brunori che ci hanno portato e fatto apprezzare un pezzetto di Italia enologica, forse un meno famosa, ma di altrettanta qualità!!! E un grazie, anche, a Luca Cardinalini de Le Cantine del Cardinale.
E dopo aver apprezzato il Verdicchio di Jesi con i prodotti della Cantina Brunori, appuntamento per il Secondo Atto dedicato alle Marche con il Verdicchio di Matelica e la Cantina Belisario.
Gabriele