Venerdì 2 ottobre 2015 a La Compagnia del Calice abbiamo esplorato il frastagliato ed emozionante mondo dei Bianchi laziali, con l’obiettivo di sfatare la fama immeritata di vinelli dozzinali da trattoria romana, che troppo spesso i vini del Lazio si sono portati sulle spalle.
Come novelli Ulisse, abbiamo navigato lungo isole e coste, sorvolato laghi, vulcani spenti e colline, alla scoperta di un’antichissima tradizione vitivinicola, che affonda le sue radici nei contatti dei Latini con i Greci e gli Etruschi, in quell’epoca in cui Roma non era ancora il Caput Mundi.
In questo affollato microcosmo di 6 IGT, oltre 30 DOC, 3 DOCG e circa 1.4Mhl annui di vino prodotto, i Bianchi – quasi tutti da uve autoctone – fanno la parte del leone (75%).
Siamo partiti dall’estremo sud della Regione, quasi un’estensione della luce del Golfo di Napoli, la meravigliosa Isola di Ponza.
La Sig.ra Luciana Sabino delle Antiche Cantine Migliaccio ci ha gentilmente fornito un filmato mozzafiato della vendemmia nelle antiche vigne terrazzate di Punta Fieno, proiettandoci in un incantato angolo d’azzurro sulla costa sud-occidentale dell’isola (raggiungibile a piedi con oltre un’ora di mulattiera, o più praticamente in barca!). Qui il vitigno Biancolella trova il suo habitat, clima caldo e ventoso, e terreno vulcanico. L’origine di questo vitigno sembra sia la Grecia da cui alcuni coloni lo portarono in Corsica e in Campania (principalmente nella zona di Ischia). A Ponza fu portato dai coloni ischitani (52 famiglie, 130 persone) trasferiti da Carlo III di Borbone nel 1734 per colonizzare l’isola. Oggi le Antiche Cantine Migliaccio rappresentano uno dei pochi baluardi della produzione ponzese: una piccola ma rinomata cantina artigianale (circa 8000 bottiglie) che produce vini intensi, schietti e luminosi come la luce dell’isola. Il Fieno di Ponza – Lazio IGT Bianco 2014 (Biancolella 85%, Forastera 15%),
vinificato in acciaio e con un breve affinamento sur lie, è coerente in tutto con il bellissimo ambiente nativo. Luminoso paglierino tenue con riflessi verdolini, al naso è finissimo e debutta con sentori di mimosa, ginestra, poi emerge un’eleganza fatta di cannella, limone, pera e mineralità. In bocca prevalgono le durezze, con una spiccata e piacevolissima sapidità, amplificata da notevole freschezza, in un quadro di medio corpo, con soli 12° di alcool. Un ottimo vino da pesce; noi lo abbiamo abbinato ad un classico ponzese, le Alici marinate.
Lasciando Ponza e dirigendoci verso la cosiddetta “Costa di Ulisse”, incontriamo il Golfo dei Gaeta e il Promontorio del Circeo, luogo di antichissime (in epoca minoica-micenea, quindi preistorica!) esplorazioni ed insediamenti di navigatori e coloni greci, la cui eco è nell’Odissea di Omero: la maga Circe – che risiedeva sul boscoso promontorio – attira e cattura i compagni di Ulisse offrendo loro un vino (definito da Omero “di Pramno”) ottenuto forse dal progenitore del moscato di Terracina. Il maggiore produttore è la Cantina Sant’Andrea, della famiglia Pandolfo.
I Pandolfo, che nella nativa Pantelleria coltivavano un altro moscato, il celebre Zibibbo (o Moscato di Alessandria) a fine ottocento si traferirono in Tunisia da cui dovettero allontanarsi negli anni ’60 causa confisca agli stranieri dei beni da parte dello stato tunisino. Sbarcarono nel Lazio e ripartirono caparbiamente da un nuovo Moscato, quello di Terracina, ridandogli una nuova giovinezza determinando così anche la crescita di questa grande azienda (600000 bottiglie annue). Degustiamo l’Oppidum, Moscato di Terracina DOC Secco 2014 (Moscato di Terracina 100%), vino fatto in acciaio da uve coltivate su terreni ricchi di argille rosse e calcare, carezzati dalla brezza marina e dal clima molto mite di Terracina. Il colore è giallo dorato, il naso intrigante è aromatico e complesso: aromaticità varietale, rosa gialla, frutta tropicale, limone, mandarino, la balsamicità della menta oltre che della salvia. In bocca non è da meno per persistenza e struttura, con morbidezza e calore (13°) ben bilanciati dalla viva freschezza. Da provare come aperitivo, con crostacei o con tortelli di zucca. Noi lo abbiamo provato con il sapido e intenso Pecorino romano di media stagionatura.
Dal Circeo risaliamo verso nord e all’interno la provincia di Latina, fino a Cori: qui, come sulla costa romana tra Anzio e Nettuno, si coltiva il vitigno Bellone (anche detto Cacchione), uva da vino antichissima già coltivata dai Romani e citata da Plinio il Vecchio come “uva pantastica, tutto sugo e mosto”, e detta ancora oggi “uva pane” dato che i contadini usavano gustarla con il pane o comunque come cibo. Marco Carpineti,
alfiere del biologico nel Lazio e alla guida di un’azienda importante per qualità e volumi (250000 bottiglie annue), qui coltiva su terreni vulcanici e tufacei il Bellone e altri vitigni autoctoni (bianco Greco Moro, rosso Nero Buono). Il Capolemole Bianco – Lazio IGP Bianco DOC 2014 (Bellone 80%, Greco Moro 20%), nel calice è paglierino chiaro, al naso parte deciso con note di fiori bianchi e erbe aromatiche, seguono poi complesse ed intense note fruttate di mela, pera, agrumi e frutta secca; in bocca è ancora più importante, persistente, fresco e sapido. Noi lo abbiamo apprezzato con un cibo dalla personalità altrettanto spiccata, gli Arrosticini di agnello.
Risalendo il Lazio arriviamo così ai Castelli Romani, quel bellissimo ambiente di vulcani spenti, laghi, colline boscose e borghi vetusti, molti dei quali hanno fatto la storia della Roma più antica, quella raccontata nella prima deca di Tito Livio. Tra i numerosi vitigni qui coltivati spicca la Malvasia del Lazio o Malvasia Puntinata, probabilmente importata dai Veneziani nel Medioevo dalla Grecia. Sebbene più sensibile alle malattie e meno produttivo del vitigno Malvasia di Candia (il vitigno bianco più coltivato in zona), dà vini di qualità superiore quali il Primo – Frascati Superiore Riserva DOCG 2013 (Malvasia Puntinata 70%, Bombino Bianco 20%, Greco 10%) dell’azienda Merumalia
di Luigi Fusco. Di origine pugliese, fisico e scienziato dell’ESA (European Space Agency), è stato stregato da questa terra ed insieme alla sua famiglia ha creato dal nulla una piccola (15000 bottiglie annue) ed interessante realtà vitivinicola alle porte di Roma. Rigore scientifico e passione da vendere, ecco il segreto di questi vini: dalla pietra e dalle sabbie vulcaniche dei Castelli Romani, in particolare di Frascati, nasce – dopo un affinamento di soli 4 mesi in acciaio e 3 in bottiglia – un vino dal colore paglierino intenso e luminoso, dal naso ampio e finissimo di sentori floreali (rosa bianca), di agrumi (limone), di erbe aromatiche, minerali, altrettanto importante in bocca dove risulta equilibrato, fresco e caldo (13,5°), sapido, di lunghissima persistenza. Un vino ancora giovane e sicuramente longevo, affascinante. Versatile, adatto sia alle pietanze tipiche della cucina romana come al pesce; noi lo abbiamo servito con dei Gnocchi alla romana spolverati di pecorino.
Proseguiamo il nostro volo sul Lazio, spingendoci a nord di Roma nell’antica Tuscia meridionale, un tempo abitata dagli Etruschi. In provincia di Viterbo viene coltivato il vitigno Grechetto di Orvieto, che venne portato in Italia dai coloni greci della Magna Grecia. Si diffuse poi in tutta l’area Etrusca in tre varietà geneticamente simili: oltre a quello di Orvieto, il Grechetto di Todi (diffuso in Umbria, Emilia, Romagna e Marche) e il Greco di Tufo (diffuso ad Avellino e in generale in Campania). Negli anni ’60 a Civitella d’Agliano Sergio Mottura,
piemontese di nascita e laziale di adozione, prese in mano questa curiosa ed esotica – per una famiglia piemontese – proprietà di campagna. Nel suo percorso di rivoluzione agraria e vitivinicola, reinventò il Grechetto e lo fece conoscere in tutto il mondo. Noi abbiamo degustato il Grechetto più storico dell’azienda, il Poggio della Costa – Grechetto di Civitella d’Agliano IGT 2010 (Grechetto 100%, da viticoltura biologica). Al naso elegante (fruttato, minerale, miele), forse ancora più efficace in bocca dove risulta caldo, morbido, fresco, sapido, persino leggermente tannico, di grande persistenza. Un bianco che “rosseggia” per carattere: si accompagna a piatti dai gusti decisi, noi lo abbiamo servito con la gustosa e succulenta Porchetta di Ariccia.
Il nostro viaggio eno-storico nel Lazio si conclude tornando a Terracina e al suo Moscato, con uno dei passiti più antichi e interessanti della penisola. Il Capitolium – Moscato di Terracina DOC Passito 2013 (Moscato di Terracina 100%) della Cantina Sant’Andrea ci ha incantati: le uve appassiscono per 2 mesi in fruttaio, seguono la lenta fermentazione in acciaio e infine 6 mesi di affinamento in botti di rovere, e il risultato è un colore ambrato luminoso, un naso ampio di albicocca, dattero, miele, scorza d’arancia candita, note balsamiche (menta) e speziate, con una bocca persistente e viva, dolce e morbido ma con freschezza e sapidità da vendere, che quasi non fanno percepire i 14° di alcool. Ideale con pasticceria di mandorle e formaggi erborinati, noi lo abbiamo accompagnato con Cantucci morbidi di mandorle.
Abbiamo scoperto appassionanti storie di vignaioli tenaci, alcuni venuti da fuori del Lazio e che qui hanno trovato una nuova confortevole casa, e un universo di vitigni autoctoni in fase di riscoperta e in grado di dare vini molto territoriali, dal carattere inimitabile… che meraviglia! Dopo questa serata siamo convinti che in futuro sentiremo sempre di più parlare – non più per stereotipi – dei Bianchi del Lazio.
A presto!
Giorgio e Fabio