Continua il nostro tour virtuale nel Piemonte dei Nuovi Fermenti! Ci eravamo lasciati sulle colline di Dogliani, da cui guardando verso Nord oltre Torino e la pianura vedevamo l’inconfondibile mole del Monte Rosa, a quasi 200 Km di distanza! Questo gigante piantato nel cuore dell’Europa deve il nome ai suoi ghiacciai vertiginosi (le “roese” nei dialetti del suo versante meridionale) e da sempre ha condizionato la vita delle pianure e delle colline che sovrasta: la sua inesauribile riserva d’acqua alimenta la regione dei Laghi ma anche le risaie più vaste del continente, e la sua grande massa funziona da volano termico e protegge dai venti freddi nel Nord le vigne dell’Alto Piemonte. Ai suoi piedi, precisamente all’imbocco della Valsesia, si trova un piccolo gioiello vitivinicolo: la zona del Boca. Una zona che con Gattinara e Ghemme condivide l’antica fama di raffinatezza e la recente rinascita, ma si differenzia per una spiccata mineralità dei vini dovuta al porfido rosa del Monte Fenera. Qui da oltre 60 anni a Cavallirio prospera la piccola azienda Antico Borgo dei Cavalli, oggi guidata da Sergio Barbaglia con la figlia Silvia, instancabili sperimentatori che hanno creduto nella flessibilità e nella potenzialità delle uve del novarese.
E mentre Sergio segue con maniacale precisione la cantina, Silvia è venuta a presentarci con competenza ed entusiasmo i suoi vini ma anche a comunicarci la sua passione viscerale per questo territorio e la sua natura.
A dimostrazione di quanto i Torinesi o meglio in generale i piemontesi occidentali tendano a pensare che il Piemonte finisca dalle parti di Vercelli o ancora prima, accertiamo subito che nessuno in sala (a parte ovviamente Silvia) è mai stato sulle colline di Boca, su cui domina il Santuario di Boca progettato da Alessandro Antonelli a fine ‘800. Antonelli, che non aveva ancora Google Earth, voleva vedere dall’alto della cupola Torino, in fondo alla pianura, ma non fece in tempo. All’epoca il Santuario era completamente circondato da estesi e scenografici vigneti (come si vede in una foto aerea degli anni ‘30): a inizio ‘900 vi erano 30000 ettari di vigneti nell’Alto Piemonte (~50000 quelli attuali di tutto il Piemonte)!, oggi ridotti a poche migliaia di cui appena alcune decine nei 5 comuni del Boca, dove le vigne sono assediate da fitti boschi. Nel secolo scorso la rapida industrializzazione di queste zone, tessile, rubinetterie, ma anche in pianura le grandi coltivazioni di riso e l’esplosione dei grandi caseifici del Gorgonzola, ha infatti causato l’abbandono di gran parte della viticoltura pedemontana. Ma oggi un pugno di coraggiosi contadini e vinificatori sta recuperando e ripiantando vigneti e rilanciando la fama del Boca e dei suoi fratelli. Silvia e la sua famiglia sono tra questi, sia in vigna – nei prossimi anni entreranno in produzione per il Boca altri 1,5 ettari di vigna nuova strappata faticosamente al bosco, aggiungendosi agli attuali 3 ettari di proprietà – sia in cantina dove i Barbaglia si cimentano con una varietà ammirevole di tipologie diverse, che valorizzano ora la tradizione, ora l’innovazione, in ogni caso sempre i vitigni rigorosamente autoctoni.
Perché la “firma” di Boca e dintorni è la sapidità dei vini? Silvia ci spiega come la vite cresca con grande fatica in questi terreni poveri di origine vulcanica: milioni di anni prima che la placca africana si infilasse sotto la placca europea sollevando le Alpi e il Monte Rosa, un Supervulcano copriva l’attuale zona della Valsesia e prima di esplodere eruttò innumerevoli tipi di rocce porfidiche, di natura chimica acida e ricchi di minerali, che poi vennero risollevate dall’orogenesi alpina e oggi riaffiorano sui fianchi delle montagne, costituendo un unicum per il Piemonte.
La serata comincia con il Lucino 2012, l’Erbaluce fermo, da sempre coltivato in queste zone con in nome di Greco (che tradisce l’origine di quest’uva presente sin dall’epoca romana). Il nome Erbaluce purtroppo da alcuni anni – da quando l’Erbaluce di Caluso è diventato DOCG – per un’assurda questione di campanile non può più essere indicato in etichetta nella DOC delle Colline Novaresi (che quindi è semplicemente “Bianco”) ed è riservato esclusivamente al Canavese… ebbene, si tratta di un grande Erbaluce che fa onore a quest’uva dorata, ed esprime una tipicità territoriale affascinante. Vinificato in acciaio, è di colore giallo paglierino intenso con una brillantezza che prefigura una bella freschezza, mentre la notevole consistenza anticipa i 14° di alcool dati dalla calda estate 2012. Dopo i raffinati profumi di erbe aromatiche e fiori bianchi, con accenni di agrumi, in bocca è intenso, di grande struttura e armonia: la morbida sensazione glicerica è in perfetto equilibrio con la netta acidità tipica del vitigno e una profonda sapidità data dai terreni. Un vino di ottima persistenza e piacevolezza, adatto a numerosi abbinamenti, come antipasti, primi piatti, pesce, carni bianche e formaggi magri, come i tomini freschi con timo e olio extravergine del Salento con cui l’abbiamo servito.
Ancora Erbaluce in purezza per il secondo vino: il Curticella Caballi Regis 2008, Metodo Classico Brut, servito con pane e lardo. Il nome è il primo nome noto del paese di Cavallirio, presente in un’antica pergamena del 1025 con cui Corrado II di Franconia, detto il Salico, imperatore del Sacro Romano Impero, donava queste terre alla Chiesa di Novara. Qui sui muscoli prevale la finezza e la grazia, frutto di un’accurata lavorazione artigianale e di una paziente maturazione per 48 mesi sui lieviti prima della sboccatura avvenuta a giugno 2013. Grande freschezza di profumi (fiori bianchi, mela verde, pompelmo, leggere note di miele d’acacia e di panificazione) nonostante il lungo affinamento, seguita coerentemente in bocca da acidità e mineralità vivissime. Bene, non ce ne vogliano i Canavesani, ma… l’Erbaluce si fa anche vicino a Boca!
Segue un vitigno autoctono antichissimo ed ignoto ai più, l’Uva Rara (anche detta Bonarda Novarese), che deve il nome non alla sua peraltro effettiva rarità, quanto al grappolo molto spargolo, rado. I Barbaglia la vinificano anche in rosso (il Lea, Colline Novaresi DOC Uva Rara), ma noi proviamo la versione rosata, il Rosalea 2012, che dopo la pigia-deraspatura subisce una criomacerazione di 12-24 ore a 7-10° a contatto con le bucce, per estrarre il massimo dei delicatissimi profumi di piccoli frutti rossi e di rosa, pochi tannini e il bellissimo colore rosa corallo che ricorda la buccia di cipolla. Servito molto freddo, al naso è timido, ma in bocca rivela una grande struttura paragonabile al Lucino, con freschezza e sapidità che non si lasciano prevaricare dai 14° di alcool. Un vino per le sere d’estate, pesce e crostacei, oppure salumi freschi, come il tipico Salam d’la Duja del Azienda Agricola Valsesia di Sillavengo con cui lo abbiamo servito. Questo antico salume di maiale, un simbolo della salumeria dell’Alto Piemonte, viene sin dall’epoca romana conservato e stagionato nello strutto di maiale per isolarlo dalla fredda umidità invernale della pianura, un tempo in fondo al “dolium” (l’otre di terracotta, in dialetto la duja).
La voce di Silvia, eroicamente messa alla prova dalla lunga serata, ci conduce poi alla scoperta della Vespolina, altro prezioso vitigno autoctono strettamente imparentato col Nebbiolo. Raramente vinificata in purezza, nel Ledi, Colline Novaresi DOC Vespolina 2010, esprime un carattere preciso: colore rubino scuro quasi violaceo, un naso intenso, vinoso e piacevolmente fruttato (di ciliegia, lampone e mirtillo) e speziato. In bocca ritorna la speziatura completata da una decisa tannicità, ideale con la Fidighina, altro succulento salume della zona conservato sotto strutto, dal sapore intenso dovuto al fegato di maiale mescolato con carni suine e bovine. Un vino che si ama o si odia e… in sala è prevalso l’amore!
Proseguiamo l’entusiasmante vetrina di vitigni autoctoni con la bandiera della zona: il Nebbiolo. Il Silente, Colline Novaresi DOC Nebbiolo 2008, riposa nel silenzio della cantina di Sergio per 1 anno in tonneaux e 3 in bottiglia: sfoggia il tipico colore rubino tendente al granato, poi al naso è altrettanto tipico per un mix di frutti di bosco – tra cui il lampone – e l’immancabile viola; in bocca si capisce che non siamo nell’albese, per l’ormai ben riconoscibile mineralità che accompagna i tannini vellutati, e freschezza e rotondità ben amalgamate. Un Nebbiolo affascinante, paradigmatico delle Colline Novaresi, che invita a bere con generosità. Lo abbiamo accompagnato con la Toma Valsesiana, un’altra eccellenza di questa zona delle Alpi.
Ma è il Boca DOC 2009 il vino che crea più aspettative e… non tradisce! Dopo la fermentazione in acciaio, comune a tutti i vini provati finora, il Boca riposa per 2 anni in botte grande e poi in bottiglia.
Nonostante la Vespolina conti solo per il 20%, la sua decisa personalità emerge chiaramente a completare l’armonia complessiva di un Nebbiolo sapientemente affinato: il colore è più scuro rispetto al Silente, convivono sfumature violacee con altre timidamente granate; il naso è decisamente complesso, la frutta (prugna, lampone) si fa più matura, la viola e le erbe aromatiche sono appassite, e si notano subito le spezie della Vespolina insieme a sentori ferrosi dovute ai particolari terreni ricchi di questo elemento, poi emergono finissime note di scorza di arancia e di pompelmo; infine in bocca possiede un’eleganza dalle molte sfaccettature, coi tannini di entrambi i vitigni giustamente smorzati dall’affinamento, una buona morbidezza e ancora piacevoli speziature. Per un vino così importante un cibo di spiccata personalità: il Tapulone d’asino e cavallo, specialità antica della zona, servito su fette di pane nero integrale. La leggenda dice che un gruppo di pellegrini dell’Ossola, venuti a venerare la tomba di San Giulio sull’isola del Lago d’Orta, per non morire di fame uccise e cucinò il proprio asino, e per ammorbidirne la carne la bagnò con abbondante vino rosso locale (beh, almeno questo non mancava loro!). Questo fine spezzatino addizionato di verza, speziato e cotto a lungo con un vino invecchiato, testimonia – come peraltro il nome dell’azienda – l’importanza di asini e cavalli nell’economia agricola della zona, dove ancora abbondano allevamenti e macellerie equine (tra cui Equicarni di Borgomanero, da cui ci siamo riforniti). Per chi volesse cimentarsi, ecco il link alla ricetta usata da noi per 40 persone, ricordate di fare le proporzioni giuste e non rimarrete delusi!
Dopo il culmine della tradizione, ecco di nuovo l’innovazione: il Dolcemente 2013, un Erbaluce che non ti aspetti, vino dolce (9° di alcool, quindi vino e non mosto parzialmente fermentato) che fermenta per 15 giorni a 18-19°C e ha un residuo zuccherino di 70g/l. Di colore giallo paglierino molto chiaro, al naso ricorda il miele d’acacia e in bocca è piacevolmente dolce con un leggero retrogusto di mandorle, accompagnando alla perfezione i brutti ma buoni con le nocciole della Pasticceria Gioria di Borgomanero.
Chiude una serata così importante ancora il Nebbiolo solista del Passiolo 2007, un passito di grande personalità: le uve raccolte ad ottobre appassiscono fino a febbraio, poi dopo la fermentazione in legno il vino riposa 2 mesi in acciaio e ben 4 anni in barrique, poi ancora in bottiglia. Il colore è rubino intenso, il profumo complesso di confettura di frutti rossi, uva passa, spezie, erbe aromatiche e ancora, come già nel Boca, scorza di agrumi. Al calore (14,5° di alcool) e alla morbidezza si accompagna una dolcezza non stucchevole, ben bilanciata da tannini davvero setosi e una struttura acida e sapida ben viva. Gran connubio con il cioccolato fondente al 51% di cacao della Cioccolateria Ziccat di Torino, che ne esalta la vena sapida, ma anche con un assaggio di Gorgonzola piccante che ne esalta per contrasto la dolcezza. Il Gorgonzola “naturale” o “piccante”, ovvero stagionato, è la forma antica e tradizionale di questo che è il principale erborinato italiano ed è apprezzato in tutto il mondo, un altro tesoro gastronomico della ricchissima provincia di Novara, che ne è la principale produttrice. Da notare che i Barbaglia producono anche un pregiato passito di Erbaluce, il Gocce di Luce, che ancora di più va a nozze con il Gorgonzola.
Il tempo è volato in fretta, ma di questa bella serata di primavera rimarranno il ricco ventaglio di profumi e sapori, la voglia di andare a scoprire di persona questa zona dalla natura aspra ma generosa, che conferisce una personalità unica ai propri vini, e l’orgogliosa passione per il proprio mestiere e per la ricerca della qualità – all’interno di un non banale equilibrio tra tradizione e innovazione – che Silvia è riuscita in pieno a trasmetterci, rappresentando un’intera famiglia composta di ben 4 generazioni!
Ad majora!
Giorgio